Storia

Il decreto imperiale del 1805, la nascita del Parco, la sua progettazione a cura dell’architetto Luigi Canonica

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Il Parco di Monza fu istituito il 14 settembre 1805 per volontà dell’imperatore Napoleone con lo scopo di farne una tenuta agricola modello e una riserva di caccia. La costruzione iniziò nel 1806, per volere del viceré Eugenio di Beauharnais, sui terreni a nord della Villa e dei Giardini Reali voluti da Maria Teresa d’Austria già nel 1777.
Da un documento epistolare la madre Giuseppina Bonaparte chiede al figlio Eugenio di costruire un parco più grande di quello di Versailles. Il desiderio verrà esaudito: infatti mentre Versailles occupa un’area di 250 ettari, la superficie del Parco di Monza è pari a oltre 700 ettari.

La prima testimonianza della istituzione del Parco di Monza è riportata nel III Statuto Costituzionale del giugno 1805 in cui si parla di una considerevole cifra di lire milanesi destinata alla “costruzione delle due tenute di Monza e del parco del Ticino”. Nel settembre dello stesso anno viene emanato un decreto imperiale per la costruzione del parco nel territorio monzese, allo scopo di farne una tenuta agricola modello e di caccia. In quegli anni Luigi Canonica, di origini svizzere, già allievo del Piermarini, era architetto “Nazionale” della corte francese e così venne incaricato della progettazione dell’opera, considerata da lui stesso in una lettera, come una “straordinaria incombenza”.

Il nuovo Parco, si estende verso Nord, quasi a lambire i primi rilievi collinari brianzoli. Vengono comprati i terreni in tre riprese, dal 1805 al 1808, vasti circa 5 kmq, dai proprietari locali, principalmente la Chiesa e le famiglie nobili, come i Durini e i Gallarati Scotti. Si procede subito dopo alla costruzione del muro di cinta, utilizzando, tra l’altro, i resti delle mura medievali della città. Intorno al 1808 il Parco di Monza diventa così il più esteso parco cintato d’Europa, con un muro di recinzione lungo 14 km. All’interno della cinta muraria furono compresi campi agricoli, strade, cascine, ville e giardini preesistenti e ora facenti tutti parte del complesso, quasi un compendio del territorio agricolo lombardo. Il significato di tale operazione era soprattutto politico: infatti la costruzione di un parco come Versailles avrebbe provocato malcontento nella popolazione locale, mentre il Parco di Monza, mantenuto a tenuta agricola, con le serre botaniche, gli orti e i frutteti, venne in parte giustificato.

Il Canonica modella e modifica le strutture esistenti, abbatte le cascine di “cadente struttura” e preserva invece i complessi paesaggistici importanti come le ville Mirabello e Mirabellino, trasformandoli e ingentilendoli con elementi di stile neoclassico in collegamento con quello della Villa Reale. Furono individuate tre zone principali, corrispondenti ad ambienti naturali diversi:

  • la zona vicina alla Villa Reale, a Sud, mantenuta a giardino e campagna aperta;
  • la zona a Nord, sicuramente la più indicata allo scopo, piantumata a bosco, il cosiddetto “Bosco Bello”, funzionale soprattutto alla caccia;
  • la fascia lungo il fiume Lambro, in posizione inferiore rispetto alle ville e alla parte agricola centrale, mantenuta con vegetazione riparia da zona umida.

Per collegare le diverse zone del Parco, Canonica creò un asse principale Nord-Sud, il viale Mirabello e il suo proseguimento, il viale del Gernetto, che porta sino al “Rondò della Stella”, al centro del “Bosco Bello”. Trasversalmente a tale viale una rete di viali secondari distribuisce i percorsi in tutto il Parco. La strutturazione del vasto territorio, agricolo e boschivo con l’adattamento e la trasformazione delle cascine e delle importanti architetture di ville esistenti all’interno del territorio del Parco, la costruzione e il riordinamento di ampi viali rettilinei alberati, il modellamento del terreno e l’adeguamento del sistema idrico alle nuove esigenze del Parco, hanno dato vita a un Parco senza precedenti, ancora oggi, unico nel suo genere.

 

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La gestione del parco durante l’Ottocento

Il periodo che va dal 1807 sino al 1900 vide il succedersi di numerosi fruitori e gestori del Parco, che, pur sfruttando la struttura, lo mantennero intatto. Nel maggio 1814 rientrarono a Monza le truppe austriache; Ranieri, nominato Vicerè, entrò in possesso della Villa Reale e del Parco. Come azione politica, per incontrare il favore popolare, il Parco fu aperto al pubblico, ma solo in orari prestabiliti, “tutte le domeniche dal mezzo tocco all’Ave Maria della sera”. In realtà, dal 1820 al 1860, la gestione amministrativa asburgica fu improntata alla ricerca della completa autosufficienza economica e comunque della massima redditività, il tutto migliorando e arricchendo la struttura. All’interno del Parco esistevano delle vere e proprie “aziende”, tra cui i “regi vivai” che, oltre a servire il Parco, operavano in proprio e vendevano le piante a terzi. I prodotti agricoli, tra cui l’uva e le foglie di gelso per la bachicoltura, venivano sfruttati e venduti. Persino le foglie secche e i ceppi morti (da estirparsi a cura dell’acquirente) avevano un prezzo di vendita. I boschi invece erano esclusi da qualsiasi forma di affitto e dipendevano strettamente dall’amministrazione Reale.

L’amministrazione provvedeva all’organizzazione della tenuta agricola e di caccia secondo procedure e regolamenti scritti molto precisi e severi. Il territorio del Parco era diviso in appezzamenti (colonie) e dato in gestione ad affittavoli che pagavano il canone parte in danaro e parte in “natura”. Anche per tale rapporto esisteva un apposito regolamento. Le pene per i trasgressori ai regolamenti erano molto elevate e venivano applicate con severità “asburgica”. È riportato il caso, per esempio, di un bracconiere, colto sul fatto mentre catturava per mezzo di una trappola, un fagiano all’interno del Parco, rinchiuso in galera per dieci giorni e immediatamente spogliato di tutti i suoi averi e sfrattato dalla casa e dai campi con tutta la famiglia. Una serie di prodotti furono introdotti nel Parco a scopo di sperimentazione agricola. Sappiamo ad esempio di coltivazioni di lupini e di produzione di olio di oliva, con un torchio alloggiato presso il Mirabello.

Nell’agosto del 1858 il Parco fu chiuso nuovamente al pubblico, in vista di un programma di trasformazione radicale per cui gli austriaci pensavano di ridurre, sull’esempio dei grandi parchi tedeschi, la tenuta agricola in area naturale con solo prati e boschi, lasciando liberi gli animali. Il progetto sfumò e nel 1860 il Parco passò ai Savoia che lo riaprirono al pubblico nel 1864. Re Umberto I soggiornò a lungo a Monza, soprattutto per la vicinanza di una donna da lui amata, la contessa Litta, la cui villa in Vedano era confinante con la tenuta reale. Grazie al sovrano, il Parco mantenne il suo primitivo splendore sino al 29 luglio del 1900, quando Umberto venne ucciso proprio davanti alla Villa Reale.

 

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Il Parco nel XX Secolo

Il figlio di Umberto I, Vittorio Emanuele III, non amava la tenuta monzese, se ne disinteressò e la cedette nel 1919 all’Opera Nazionale Combattenti. L’istituzione, cercando di trarne un profitto immediato e soprattutto di far fronte alle spese di gestione propose delle soluzioni progettuali, tra cui la realizzazione dell’autodromo (1922), dell’ippodromo (1923) e del campo da golf (1928).
Nel 1920 il Parco fu ceduto a un consorzio formato dai Comuni di Milano, di Monza e dalla Società Umanitaria. A sua volta il consorzio concesse a terzi, parti consistenti del Parco.

Nell’ultimo decennio a seguito di alcuni interventi di messa in sicurezza della pista dell’autodromo, la Regione Lombardia, in collaborazione con i Comuni interessati, il Parco della Valle del Lambro e la Sovrintendenza ai Monumenti di Milano, ha messo a punto e finanziato interventi straordinari per la riqualificazione del Parco e delle strutture in esso contenute, che prevede, tra l’altro, il risanamento dei boschi, il restauro delle ville e delle cascine storiche, e il miglioramento della fruizione del Parco.

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